Meg Stuart / Damaged Goods

Possibile resistere allo scorrere del tempo? In Cascade sette danzatori ci provano. I loro corpi lanciati senza remore in una nuova dimensione spazio-temporale sembrano voler ridefinire le coordinate della vita sul nostro pianeta in nuove e complesse geometrie ritmiche. Avvolti in un universo galattico scaturito dalla fantasia di Philippe Quesne, i performer di Cascade vivono una simultaneità cinetica isolata: lì, nel loro mondo, il tempo non scorre più in modo lineare, sembra interrotto. Tutti vivono solo l’attimo. “La danza – scrive la coreografa Meg Stuart, Leone d’Oro alla Biennale danza 2018 – è uno dei mezzi che ci ricorda che è possibile procedere cautamente. Avanzare con il proprio ritmo. Che è possibile rifiutare le correnti dominanti se non ci si sente a proprio agio. Creare i propri spazi, scoprire ciò che è veramente essenziale e ciò che merita di durare”. Ma questo sembra negato nello spettacolo dove tutto e tutti, costantemente, si reinventano senza sosta. In bilico nell’incertezza, i performers sembrano domandarsi di quale corpo abbiano bisogno per riuscire ad andare avanti, travolti come lo spettatore dalla perpetua sensazione di fallimento e rigenerazione. Concepito su un karaoke di brani cult come How deep is your love dei Bees Gees e sull’ipnotica musica eseguita live di Brendan Dougherty, compositore da lunghi anni a fianco della coreografa americana, Cascade è una resa a ciò che non sappiamo dell’altro.